sabato 30 aprile 2011

Storia del nucleare in Italia

"Atomi per la Pace": è questo il nome della conferenza tenutasi a Ginevra dall'8 al 20 agosto 1955 nella quale l'Italia prese la decisione di costruire la prima centrale elettronucleare sul proprio territorio; a seguito di questo progetto negli anni '60 si installarono in Italia 3 centrali nucleari:


  • Centrale elettronucleare di Latina, terminata nel 1963
  • Centrale elettronucleare Garigliano di Sessa Aurunca (CE) terminata nel 1964
  • Centrale elettronucleare Enrico Fermi di Trino (VC) terminata nel 1964
Nonostante 3 centrali (tra cui quella di Trino rappresentava la centrale più potente al mondo al momento della sua entrata in funzione), l'energia nucleare prodotta dall'Italia soddisfava appena il 3-4% del fabbisogno energetico nazionale.
Per aumentare il contributo del nucleare nella produzione di energia in Italia, venne prevista e costruita una quarta centrale: la centrale elettronuecleare di Caorso (PC) la quale iniziò la sua produzione nel 1978.
Intanto, nel 1975, venne definito il primo "Piano Energetico Nazionale", il quale prevedeva una forte accelerata del nucleare in Italia: oltre alle 3 centrali allora funzionanti e quella in avanzata fase realizzativa di Caorso, vennero proposti una serie di nuovi siti nei quali impiantare nuove centrali tra cui la centrale Alto Lazio di Montalto di Castro (VT) ed una seconda centrale a Trino Vercellese.
In merito è opportuno sottolineare come la costruzione della centrale di Montalto di Castro sia stata interrotta a causa dei gravi danni causati dall'alluvione del 1987, alluvione pericolosamente non prevista dall'analisi del rischio idrogeologico antecedente la costruzione.

Negli anni ottanta iniziano le prime preoccupazioni sulla sicurezza degli impianti nucleari. Questo fu dovuto alle riflessioni seguite all'incidente avvenuto nel 1979 nella centrale nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti.
Il disastro nucleare di Chernobyl avvenuto nel 1986 diede il colpo di grazia alle velleità nucleari italiane infatti, sull'onda di quella tragedia, vennero indetti 3 referendum sull'energia nucleare che si svolsero nel 1987. Questi 3 referendum che ebbero tutti esito positivo, non miravano esplicitamente a vietare la costruzione di centrali nucleari in Italia o a imporre la chiusura di quelle all'epoca esistenti, ma abrogavano:
  • la norma che consentiva al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non avessero deciso entro tempi stabiliti (13° comma dell'articolo unico della legge n. 8 del 10/1/1983)
  • il compenso ai comuni che ospitavano centrali nucleari o a carbone (commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della legge n. 8 del 10/1/1983)
  • la norma che consentiva all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero (legge n.856  del 1973)
A seguito della netta pronuncia contro il nucleare del popolo Italiano le centrali vennero smantellate oppure, ove possibile, convertite a centrali termoelettriche anche se i quesiti non prevedevano questo in particolare, ma miravano a dare grossa importanza alle valutazioni degli enti locali, valutazioni che non dovevano più essere inficiati da sostanziosi incentivi economici.

Questa situazione si è protratta fino al 2005 quando, complici gli aumenti di prezzo di petrolio e gas naturali, Claudio Scajola all'assemblea di Confindustria afferma che "Si è fatto tempo di riparlare della questione dell'energia nucleare: occorre che in questo Paese si riapra una discussione su questo punto".
Il centrodestra afferma chiaramente come il ritorno al nucleare in Italia sia uno dei punti importanti del loro programma di governo.
La vittoria alle elezioni da parte del centrosinistra ricaccia indietro lo spettro del nucleare, ma con l'avvento nel 2008 del 4° governo Berlusconi, l'intento di ripristinare il nucleare in Italia torna in auge.
Scajola, diventato ministro dello sviluppo economico, sempre davanti all'assemblea di Confindustria afferma che: "Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro Paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione" ed infatti la sua proposta prevedeva di costruire dieci nuovi reattori con l'obiettivo di arrivare a una produzione di energia elettrica da nucleare in Italia pari al 25% del totale.
Stiamo parlando di ben dieci centrali, che non farebbero altro che aumentare in maniera esponenziale i potenziali rischi che già l'Italia corre a causa delle centrali presenti a pochi chilometri dai nostri confini, come si evince dalla seguente immagine elaborata da World Nuclear Association e European Nuclear Society




Il resto è storia recente, dopo l'approvazione del decreto che affida al Governo il compito di predisporre la normativa per il ritorno al nucleare (novembre 2008), il 24 febbraio 2009 Italia e Francia firmano il "Memorandum of Understanding" che pone le basi per la realizzazione di almeno 4 centrali nucleari in Italia di cui parliamo in questo articolo.
Il 10 febbraio 2010 il Governo approva il decreto legislativo che enuncia criteri per la localizzazione dei siti: saranno le imprese interessate alla costruzione delle centrali ad indicare le aree idonee al loro posizionamento; si parla inoltre di "benefici economici per le popolazioni, le imprese e gli enti locali dei territori interessati dalla realizzazione di impianti nucleari", benefici a carico dei costruttori e degli attuatori delle centrali stesse (in modo da "aggirare" l'ostacolo derivante dai risultati del referendum del 1987 il quale vieta che venga elargito un compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari.
E siamo così giunti ad oggi: col referendum promosso e approvato dalla Corte Costituzionale ed i seguenti tentativi di boicottaggio legislativo e mediatico dello stesso.
Non resta che augurarci una cosa... che non sia tolta La parola ai Cittadini!

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Credo che lo spirito della Costituzione sia quello di rispettare la volonta' popolare. Il Parlamento ha l'obbligo sostanziale e non solo formale di adempiervi, altrimenti e' meglio che chi ne fa parte sia mandato a casa quanto prima.

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